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Il Knowledge Management nell’era cognitiva e il re che è nudo

di Federico Cussigh* – Senior Partner di IT’S.:.B2B Srl

 

Parlare oggi di Knowledge Management nell’ambito dei processi di digitalizzazione delle organizzazioni significa confrontarsi necessariamente con alcune criticità che riguardano la maggioranza delle organizzazioni. In questo caso, però, il mal comune non deve considerarsi come fonte di gaudio.

Mi occupo di questi argomenti ormai da molti anni.  Oggi lo faccio in modo certamente diverso rispetto al passato perché posso contare su degli strumenti che caratterizzano l’Era Cognitiva, come l’Intelligenza Artificiale, che pochi anni fa erano semplicemente impensabili.

Lungo il corso degli anni sono certamente cambiati gli strumenti, ma le criticità che riscontro anche oggi, in ogni nuova organizzazione con la quale inizio a collaborare, alla fine sono sempre le stesse.

Cosa abbiamo digitalizzato fino ad ora?

Poniamoci una domanda molto semplice: nelle nostre organizzazioni, quali sono i processi che ad oggi sono stati realmente digitalizzati e quindi sono fruibili in modalità digitale?

Da tempo le aziende ritengono di aver messo sotto controllo i loro processi ad altra criticità. Ritengono di averlo fatto perché si sono dotate di un super ERP che gestisce ed ottimizza ogni aspetto del ciclo attivo e passivo, dei processi produttivi di assemblaggio, di stoccaggio e spedizione, oppure si sono dotate di sistemi di progettazione e simulazione innovativi, etc. Quelle più evolute si sono anche dotate di un sistema di  business intelligence. Quindi tutto a posto si potrebbe dire, no? … visto che oggi si trovano in questa situazione la maggioranza delle imprese europee!

In realtà le aziende che oggi gestiscono Dati Transazionali e che sono dotate di un Sistema di Reporting si trovano semplicemente alla seconda fase di sviluppo digitale, quella che per capirci ha caratterizzato gli anni ’90, quindi sono ferme a quello che si faceva 30 anni fa, solo che oggi lo fanno un po’ meglio, dove molti scambiano questo “meglio” con il fatto che le interfacce che oggi usano sono graficamente più gradevoli di quelle del passato, ma alla fine, fanno sempre le stesse cose… vedi i più diffusi software di office automation o di gestione delle email presenti in ogni ufficio.

Da un lato è vero che per un’organizzazione la gestione dei Dati Transazionali e la Business Intelligence devono considerarsi come ambiti di automazione assolutamente fondamentali e imprescindibili, ma è anche altrettanto vero che questi ambiti rappresentano solo l’inizio di un percorso.

La “patina glitterata”

Se andassimo a scavare un po’ sotto la prima “patina glitterata” che spesso avvolge i processi che fino ad ora sono stati digitalizzati, ci accorgeremmo che ciò che è stato fino a ora oggetto di digitalizzazione, altro non è che la parte più semplice da digitalizzare, perché prevalentemente basata sui dati di tipo strutturato, quindi dati transazionali.

È come se avessimo escluso a priori dagli ambiti di automazione e digitalizzazione tutti quei processi che sono basati su dati non strutturati che, per capirci, sono collezioni di dati che di norma non trovano posto nei database relazionali o nei software gestionali. Mi riferisco a documenti e dati tra di loro molto eterogenei, tipicamente disponibili in grande quantità e con la caratteristica di essere talvolta correlati tra di essi in modo “debole” (vengono anche definiti Big Data). Questi spesso assumono la forma dei PDF, dei fogli di calcolo o di vari tipi di documenti elettronici o file che contengono registrazioni analogiche o digitali.

Il fatto è che sono proprio quei documenti elettronici che contengono, ad esempio, la descrizione dei processi, delle procedure, le istruzioni operative, le analisi di mercato, i report su eventi speciali o i salti tecnologici, i ticket di assistenza ai clienti, i report delle riunioni, i piani e le azioni correttive oppure i dati che a vario titolo sono presenti nei nostri uffici R&D o i dati che nelle nostre industrie vengono prodotti dai “macchinari 4.0” che tutti archiviano, ma che nessuno utilizza… potrei continuare a lungo con questa lista. Se ci pensate, quelli sono proprio i “veri dati” che sono in grado di raccontare la “vera azienda” e lo fanno certamente molto di più delle sole registrazioni presenti in un ERP o in un sistema di business intelligence, per sofisticati che possano essere.

Il re è nudo

Tutti sanno che il re è nudo, nel senso che le vere informazioni strategiche che servirebbero ai manager e ai titolari d’impresa per gestire al meglio e fare la differenza nelle loro organizzazioni oggi non sono gestiti tramite sistemi digitali. Al massimo quelle informazioni sono salvate, ma non sono poi rese fruibili tramite opportuni strumenti.

Se riflettiamo un attimo e più in generale, ci rendiamo conto che in realtà le nostre organizzazioni non hanno ancora messo in sicurezza il loro vero know-how specialistico, le loro competenze distintive, insomma, la loro conoscenza.

Per ora abbiamo digitalizzato solo dati sul “cosa” e sul “come”, ma non sul “perché”!

E pur tutti sappiamo che se ha un valore il sapere il “cosa” ed il “come”, ha un valore ben più alto il sapere il “perché”!

Per non parlare del fatto che nella maggior parte dei casi la vera conoscenza, le informazioni cruciali e gli aspetti più strategici delle organizzazioni risiedono ancora e solamente nella testa di poche persone e, quindi, non sono di proprietà dell’organizzazione, ma dei singoli collaboratori, che quando lasciano l’organizzazione ne depauperano irrimediabilmente il valore.

Il Knowledge Management nell’era Cognitiva

La buona notizia è che oggi, nell’era Cognitiva, è possibile mettere in salvo la conoscenza delle organizzazioni grazie ad opportuni strumenti digitali, ma ciò comporta la necessità di ripensare tutti i processi aziendali in ottica del Knowledge Management. Dobbiamo renderci conto che nelle organizzazioni non basta il “fare le cose” e “salvare cosa si è fatto”: bisogna imparare una nuova mentalità che consiste nel mettere in sicurezza il “perché si fanno le cose”… e ciò deve diventare un nuovo abito mentale (solo così possiamo iniziare a vestire quel re che è nudo).

Bisogna, infatti, estrarre il valore che è presente nelle cose che facciamo, mettendo in sicurezza i “perché fondamentali” capaci di generare valore di lungo periodo. Ciò avviene tramite la creazione di veri e propri asset digitali basati sul knowledge che siano in grado di preservare la conoscenza nel tempo, rendendo i concetti (e non solo le “parole”) ricercabili e fruibili in modo diffuso. Ciò permetterà di continuare beneficiare ed estrarre valore da tale conoscenza digitalizzata anche in futuro, mettendola di fatto a disposizione delle nuove generazioni.

* Federico Cussigh sarà uno degli speaker del prossimo TEDxUdine in programma il 19 marzo 2022.
Se vuoi saperne di più e prenotare un biglietto >>VAI QUI<<

 

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