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Modelli di innovazione: dall'alterità italiana al perché s'innova*

Di Luca De Biase

* Tratto dal libro “Eppur s’innova. Viaggio alla ricerca del modello Italiano” di Luca De Biase – editore Luiss University Press

Partiamo da un dato di fatto. Tutte le analisi statistiche internazionali che servono a stabilire quali siano i Paesi più innovativi pongono l’Italia in basso nelle classifiche. L’Italia è sempre tra gli ultimi, nel contesto dei Paesi sviluppati, per quanto riguarda gli indicatori standard che servono a valutare l’innovatività, come i finanziamenti alla ricerca, i brevetti, la presenza di venture capital, le competenze digitali. Eppure, le esportazioni italiane vanno bene, aumentano anche in periodi di crisi generale, come è avvenuto dal 2009 in poi. Sempre dal punto di vista dell’export, la crisi pandemica del 2020 è stata abbondantemente superata già nel 2021.

Come si spiega? Ci sono due ipotesi alternative: o le aziende italiane esportano prodotti “vecchi”, oppure hanno un modo tutto loro di innovare che non è registrato dagli indicatori internazionali standard. Dando per possibile la prima ipotesi, dedicheremo questo libro ad esplorare la seconda.
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Una delle lezioni della storia che ci aiuta a disegnare con equilibrio una prospettiva ci ricorda che nel corso delle grandi trasformazioni il ruolo dell’innovazione ha garantito l’adattamento al mutare delle circostanze e la ricerca di soluzioni che possano condurre verso un miglioramento complessivo.

In un periodo storico in cui la pandemia, la guerra e la scarsità di beni materiali (dalle materie prime ai semiconduttori), che mettono in difficoltà gran parte della comunità internazionale, si sommano alle grandi sfide del nostro tempo, come il cambiamento climatico e l’ineguaglianza sociale, la via dell’innovazione è una fonte di fiducia e di speranza. Purché la società sia consapevole della direzione che tenta di perseguire innovando.

In breve, del “perché” si innova. In questo contesto, l’innovazione non si valuta tanto per la ricchezza che genera o per la tecnologia che migliora, ma per i risultati sociali, culturali, ecologici che produce, nel tempo lungo al quale è dedicato il valore della sostenibilità.

Per questo hanno ragione di esistere molti modelli di innovazione. E cercarne le fonti alternative è strategicamente importante.

L’ALTERITÀ ITALIANA

Da mille anni, l’Italia vista da fuori provoca opinioni contrapposte. Ammirazione e critica, speranza e delusione, desiderio e sospetto. Almeno dal Duecento, se non da prima ancora, il commercio, la produzione, la finanza e il soft power italiano non cessano di farsi notare in Europa, insieme alla fragilità delle tessere che compongono il mosaico politico italiano.
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Oggi, tanti osservatori internazionali, e non, trovano incomprensibile come l’Italia possa reggere il peso dei suoi debiti e delle sue inefficienze strutturali, mentre decine di milioni, ogni anno, da ogni angolo del pianeta ne acquistano i prodotti e non vedono l’ora di visitarla.

Perché richiamare queste esperienze? Tener presente la continuità storica è sempre una pratica utile se si cerca di comprendere il cambiamento. La consapevolezza dei fenomeni di lunga durata arricchisce la prospettiva che serve per focalizzare l’avvenire: in un’epoca di grande trasformazione, è saggio domandarsi fino a quale profondità si spingerà il cambiamento. E nello specifico è lecito chiedersi se l’ondata di rinnovamento globale che caratterizza questo inizio del nuovo Millennio sia tale da richiedere all’Italia di omologarsi, cambiando le sue abitudini secolari oppure se sia al contrario l’occasione per valorizzare le sue differenze.
O entrambi.
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Sebbene questo genere di reazioni contrastanti non siano una novità della critica all’Italia, lasciando spesso il tempo che trovano, la loro pregnanza cresce. Perché i fatti di questi anni Venti del nuovo Millennio indicano che le relazioni di collaborazione o incomprensione e le interdipendenze, politiche ed economiche, tra le comunità che popolano i diversi territori del pianeta sono sempre più importanti per immaginare il destino di ciascuna di esse, proprio perché i prossimi decenni saranno decisivi per sapere se l’umanità riuscirà a contenere le conseguenze climatiche e sociali del vecchio modello di sviluppo. E per riuscirci sarà necessaria una forte capacità innovativa, una forte cooperazione, una crescente fiducia reciproca. Ebbene: l’Italia si collocherà tra chi offre soluzioni o tra chi crea problemi? Tra chi unisce o tra chi divide? Tra chi genera o tra chi subisce l’innovazione?

Dopo la pandemia, queste domande non sono semplici curiosità. Oggi l’innovazione non è più motivata soltanto dalla necessità di competere sui mercati, ma va pensata in funzione del contributo che occorre dare per affrontare la sfida climatica e sociale di questi prossimi decenni: perché comprendere se e come un sistema innova non è soltanto un modo per sapere se declina o prospera, ma significa soprattutto valutare se porta il suo contributo al superamento dei problemi di tutto il pianeta.

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